giovedì 18 agosto 2011

Ilias Petropoulos


Questo blog vuole essere un omaggio a Ilias Petropoulos e alle sue ricerche sul rebetiko. Strada facendo saranno pubblicati in traduzione italiana, testi suoi e di altri autori. 
La traduzione di questi testi  mi ha dato lo spunto per ripercorrere nella mia memoria gli anni ’70. Anni dell’adolescenza, del mio arrivo ad Atene da un piccolo paese greco, della grande città con milioni di abitanti, con il suo senso di libertà e di smarrimento, ma i miei ricordi si orientano soprattutto intorno ad una data, il 24 luglio del 1974, che coincide con la caduta definitiva della dittatura. Ed è proprio a partire da questa data che avviene il mio incontro con gli hassiklidika, i rebetika dell’hascisc e con Petropoulos perché prima era difficile per un adolescente ascoltare i primi e leggere il secondo, in quanto censurati e proibiti.
Subito dopo la fine della dittatura, la musica e i libri che prima giravano di nascosto, erano di nuovo liberi. Mi ricordo per strada i venditori con carretti pieni di libri prima vietati, stampati velocemente e in edizioni economiche. Nelle case, nelle feste e nelle taverne si sentivano le canzoni, soprattutto di resistenza, sia storiche che recenti. Non però i rebetika dell’hascisc, sottoposti ad una doppia censura, pre e post dittatoriale.

In quegli anni, sotto casa mia, aveva aperto uno di quei negozietti tipici greci, uno psilikatzidiko, negozio di minuterie, un super market in miniatura, dove potevi trovare di tutto, dalle medicine alle sigarette. Lo tenevano padre e figlio. Il figlio era un giovane barbuto dell’epoca, studente non so di quale facoltà, impegnato nella lotta, di sinistra ma non del partito. Per hobby duplicava cassette di musica e le rivendeva quasi a costo di produzione, musica greca ma anche blues e rock and roll. Era il nostro rifornitore di musica, ed è stato un pomeriggio da lui, mentre si discuteva di questo e quell’altro autore, della musica rock e di quella greca, che mi ha fatto sentire per la prima volta i rebetika dell’hascisc: vecchie registrazioni, con il rumore di fondo che era quasi più alto della musica. Comprai la cassetta e la risentii più volte a casa mia, di nascosto dai miei. Con gli amici l’ascoltavamo con un piccolo registratore in pineta, dove ci nascondevamo per fumare le prime canne o in quei monolocali che prendevamo in affitto collettivo per fumare e fare i nostri comodi, tekes, jafka o garconnier: sostanze, politica e amore. Qualche anno più tardi, Tsitsanis, il bardo del rebetico, scrisse forse l’ultima canzone sull’hascisc, sul sequestro di una nave proveniente dalla Persia, a Corinto, piena di tonnellate di questa sostanza. Era una canzone ironica e divertentissima, la cantavano tutti ed era su tutte le radio.




Lo stesso barbuto che mi fece sentire i rebetika dell’hascisc mi parlò di Petropoulos e delle sue ricerche sul rebetiko, scrittore che aveva fatto la galera con i colonnelli ma che continuava ad essere mal visto dalla morale borghese ma anche da molti di sinistra. Un anarchico libertario, cosi me lo presentò. Aveva pubblicato a sue spese, durante la dittatura, nel 1969, la più grande ricerca sul rebetiko mai fatta, senza passare dalla censura e più tardi una ricerca sull’argot degli omosessuali in Grecia. Entrambi i libri vennero censurati e l’autore condannato. Da quella chiacchierata con il barbuto non ho più dimenticato Ilias Petropoulos e qualche anno più tardi ebbi tra le mani uno dei suoi libri più famosi, Il trattato del buon ladro, prima edizione del 1979. Fu una folgorazione. Capii in quell’occasione che finalmente avevo tra le mani un libro o capivo che cosa può essere veramente un libro. Quanta potenza può avere per un adolescente la lettura di un testo così! Non solo per i contenuti ma soprattutto per la forma e il linguaggio. Quell’ironia cruda e irriverente mi faceva capire perché i colonnelli ed anche i post colonelli lo consideravano sovversivo e pericoloso, e lo perseguitavano. Petropoulos si autoesiliò a Parigi perché aveva i coglioni pieni della stupidità del potere, di quello accademico ma soprattutto di quello poliziesco, giudiziario e penale. Lottò fino alla fine della sua vita; era sistematicamente antisistemico; denunciò a gran voce la parte repressiva dello stato e della chiesa e anche della chiesa-partito; ateo convinto ma con una concezione sacra della vita.

Ricordo che Il Trattato del buon ladro, ma era così anche in tutti gli altri suoi libri, come capirò in seguito, era disseminato di innumerevoli liste o cataloghi: venivano classificati i temi più improbabili, con i criteri più disparati. Una poetica delle classificazioni che niente aveva a che fare con l’impianto categoriale che ti fornisce la scuola, la morale o il partito. Il mondo secondo Petropoulos andava diviso diversamente; esisteva per lui un mondo sotterraneo, un kosmos ypogeios, l’ipocosmo, che esprimeva valori, esperienze e saperi in continua opposizione nei confronti del mondo sociale , espresso nella logica del potere dello stato, della polizia, dei tribunali, della chiesa e della famiglia, del denaro e del profitto. Ecco una sua dichiarazione: “Amo i balordi e i fumatori di hascisc, i ladri e le puttane, i rebetes e i finocchi, perché lottano contro ogni forma di potere ma li amo ancora di più perché riescono a sopravvivere contro la polizia, contro la legge penale, contro la rivoltante morale piccolo-borghese ma soprattutto contro la fiammante passione di se stessi”*. Schierarsi, demistificare, raccogliere e testimoniare, far emergere esperienze e saperi nascosti e passivi, scontrarsi con il sapere accademico e del senso comune, con passione e intelligenza.




Il gusto per le liste e le classificazioni eterodosse era diretta conseguenza della sua tendenza ossessiva di collezionare documenti di vario tipo sui mondi esplorati; migliaia e migliaia di oggetti, fotografie, cartoline, interviste e testimonianze; esplorare, collezionare, catalogare i mondi sotterranei popolari che l’accademia non degnava di uno sguardo se non quello criminologico. I periodi più produttivi per le sue ricerche, di osservazione diretta, sono stati quelli in cui si trovava in carcere; stava con i detenuti comuni e non con i prigionieri politici. Era uno che conosceva il loro linguaggio e il loro modo di essere.

Conosceva molte lingue e molti linguaggi. Forse era il miglior conoscitore della lingua greca, sicuramente delle famiglie linguistiche balcaniche compresa quella turca. Per me che ero uno studente del liceo, e che, come molti greci, scrivevo e leggevo nella katharevussa, il greco della burocrazia, dell’Accademia e dei Vangeli e parlavo la demotiki, la parlata neoellenica, leggere il suo libro e il suo greco scritto è stato uno shock. La sua capacità di usare la lingua in tutta la sua diacronia e in tutte le sue contaminazioni, dal greco antico fino alle espressioni idiomatiche, turche o albanesi, con una freschezza, ironia e provocazione che non avevano pari, non aveva paragoni nel panorama letterario, almeno per me, studente di liceo. Era un lessicografo avanguardista.

Le sue ricerche hanno influenzato i gusti musicali di intere generazioni di greci offrendo la possibilità a chi non aveva vissuto il periodo d’oro del rebetico di potersi accostare ad esso al di là dello sviluppo elettrificato degli ’60 e oltre la mediazione tra rebetiko e musica colta di un Theodorakis o Hatzidakis, stile musica impegnata. Le sue ricerche hanno avuto ed hanno la capacità di rileggere non solo la storia del rebetico e della musica in Grecia ma di rileggere, a partire dalle semplici canzonette, tutta la storia della Grecia, quella politica, storica e sociale. 

*E’ una dichiarazione che fa Petropoulos nel film di Kaliopi Leghaki, ΕΝΑΣ ΚΟΣΜΟΣ ΥΠΟΓΕΙΟΣ / ΗΛΙΑΣ ΠΕΤΡΟΠΟΥΛΟΣ, An underground world / Elias Petropoulos,  Doc, 61΄, 2004, FIPRESCI award ( Thessaloniki 2005 ).

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